dalla mia sedia/on my sunbed
Assecondando il desiderio di un ritorno alla normalità dopo mesi di restrizioni sociali ho deciso di dedicare una settimana di settembre ad una vacanza balneare. Ho portato con me pochi indumenti, il solito quaderno e alcuni libri che da mesi cercavo di finire. Ho evitato accuratamente di mettere nel bagaglio fotocamere e altri oggetti del mestiere, tranne dimenticare che uno smartphone è ormai a tutti gli effetti considerabile uno strumento del mestiere, in più uno strumento sempre a portata di mano, credo che non avrebbe costituito una distrazione al mio dolce far niente se non si fosse associato alla mia empatia nei confronti dei miei simili e così, da un punto di vista privilegiato come la mia sedia, ho scattato una prima fotografia poi un’altra poi un’altra ancora sino a farla diventare un’occupazione leggera una sorta di compito delle vacanze.
Mentre ero li avevo la sensazione, che di fronte al mio punto di osservazione, passasse tutto il mondo. Un’umanità bella con il corpo al sole, all’aria e all’acqua. Un corpo presentato con semplicità quotidiana e al netto di pudori imposti da modelli consumistici. Senza stress, senza bisogni obbligati, senza tempo, come se fossimo tornati a casa dopo una lunga segregazione, come se fossimo tornati alle nostre relazioni, alla nostra famiglia originale. Assecondando le richieste di alcuni amici, che avevano apprezzato le immagini apparse sulle storie di Instagram e Facebook, ho deciso di stampare una fanzine in una prima tiratura di cinquanta copie ora disponibili per chi avesse intenzione di averla.